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martedì 5 ottobre 2021

Amministrative 2021, Lega e M5S a picco. Sale l'astensionismo, vince il Pd. L'analisi di Ernesto Ferrante




Riflessioni ad urne chiuse, tra astensionismo e ritorni al passato ci propone il collega Ernesto Ferrante, con il quale mi lega una comune militanza giornalistica in quella grande palestra di libertà chiamata Rinascita Quotidiano di Sinistra Nazionale oltre che una ventennale amicizia.



E' risorto il bipolarismo. Ha ripreso forza e vigore la campagna elettorale di prossimità, di marciapiede. Un elettore su due non si è recato alle urne. Milano, Roma, Torino e Napoli hanno fatto registrare rispettivamente il 47,69%, il 48,83%, il 48,06% e il 47,18%. Nella tornata di cinque anni fa aveva votato il 61,52% degli aventi diritto. Le amministrative le ha vinte il Pd. Lega e M5s le hanno stra-perse con “purghe elettorali” pesantissime rispetto alle europee e alle politiche. La folgorazione sulla via di Draghi ha rafforzato solo il Pd, più strutturato e credibile nel pescare dentro il blocco sociale minoritario ma compatto degli statali. E' finita dentro i seggi la stagione dei magistrati in politica: Maresca a Napoli e de Magistris in
Calabria hanno raccolto pochissimo. Il giustizialismo, entrato nella campagna elettorale attraverso alcune inchieste giornalistiche, ha incassato un altro duro colpo. L'elettorato fluttuante che ha inseguito per anni il cambiamento, ha ritenuto più fruttuosa e coerente la strada dell'astensione. Il civismo, annacquato e improvvisato, è morto e sepolto. E' risorto il bipolarismo. Ha ripreso forza e vigore la campagna elettorale di prossimità, di marciapiede. Ha sparato a salve quella via social, fatta di faccioni ridanciani, fragilità irrisolte postume e dirette compulsive. Il crepuscolo del Movimento Cinque Stelle nel giorno del suo dodicesimo compleanno e il collasso per oltre sei ore delle piattaforme social di Mark Zuckerberg (WhatsApp, Facebook ed Instagram), sono apparsi come una sorta di mesto saluto ad una certa strategia comunicativa. Il centrodestra, stordito da sondaggi pompati e dilaniato da faide interne, si è rivelato un disastro in termini di proposte e di scelta delle candidature. L'assenza di classi dirigenti locali dotate di spessore e carisma, ha lasciato ai leader nazionali le mani libere e lo spazio per combinare guai grossi. Nella Lega, in particolare, inizia la resa dei conti. Sui territori si chiedono i congressi per mettere fine alle cooptazioni verticistiche del segretario. Tra i governisti monta l'insofferenza per le piroette di Salvini a Palazzo Chigi. Il suo barcamenarsi tra Mario Draghi e Giorgia Meloni sta disorientando dirigenti, attivisti ed elettori. Pur senza squilli e luci di un certo rilievo, vanno meglio le cose per Fdi. Un unico lampo azzurro per Berlusconi alle regionali in Calabria. Poi buio pesto. I 5 Stelle con il nuovo corso che secondo Conte non avrebbe ancora “dispiegato appieno le sue potenzialità”, hanno ulteriormente dilapidato il bacino elettorale di cui disponevano. Il Movimento non ha presentato liste nel 35% dei Comuni amministrati in questi cinque anni. Dove ha corso da solo, ha raccolto pochissimo. Nelle città in cui è andato in coalizione, si è dovuto accontentare invece di un ruolo da comprimario. Meritevole di attenzione è la performance elettorale a Roma di Carlo Calenda. La sua lista è risultata essere la prima nella Capitale, piazzandosi davanti al Partito democratico e a Fratelli d'Italia. Un progetto centrista che ha occupato uno spazio politico al momento vuoto. Un ritorno al passato anche questo, dopo il bipolarismo e la ricerca del consenso “in presenza”.

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