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lunedì 27 novembre 2023

La strana coppia Alemanno-Rizzo è tutt'altro che strana. E non va sottovalutata




Che “l’indipendenza” dell’Italia possa dipendere dalla strana coppia Alemanno-Rizzo è perlomeno dubbio, ma nessun dubbio può esserci sul fatto che ad avvicinare il camerata al compagno sia qualcosa di più profondo del desiderio di spartirsi i futuri rimborsi elettorali del nascente movimento rossobruno o della vanità di chi ha assaporato il gusto della ribalta politica per poi finire nel cono d’ombra che fagocita e inghiotte senza pietà chi d’improvviso si ritrova senza un partito.

Ad unirli, intanto, sono l’antiamericanismo, l’anticapitalismo e un antisionismo da interpretare, forse, non tanto come il vestito buono dell’antisemitismo, quanto come una variante dell’antimercatismo. Niente di nuovo, in fondo. Fu proprio su queste basi che sin dagli anni Venti in Italia e in Europa si cementarono originali sodalizi e spericolate formule politiche.

Il Terzo Reich nacque dall’unione di nazionalismo e socialismo, rosse erano le bandiere naziste, il Fascismo morì nel mito repubblichino della socializzazione delle imprese sancita dalla Carta di Verona e tutti sanno che socialista fu la prima identità politica di Benito Mussolini. 

Finì male, d’accordo, ma quando Mussolini finì, fucilato e poi orribilmente appeso a piazzale Loreto al suo fianco c’era un comunista a tutto tondo: l’arditissimo Nicola Bombacci, cresciuto nel mito di Lenin e fondatore assieme a Bordiga, Terracini e Gramsci del Partito comunista d’Italia. “Viva il socialismo”, furono le ultime parole di Bombacci prima che la raffica di un mitra partigiano gli togliesse la vita. Una storia, epilogo a parte, non molto dissimile da quella di Filippo Tommaso Marinetti, di Curzio Malaparte e, tra gli altri, del padre del corporativismo fascista Ugo Spirito. C’è chi ha considerato persino l’abolizione dei gradi nelle Brigate Nere la conseguenza di una suggestione para comunista, se non addirittura pre maoista.

Di “Fascismo immenso e rosso” e di “Socialismo tricolore” scrisse uno degli intellettuali più stimati dai dirigenti del MSI e dall’allora giovane Gianni Alemanno in particolare, Giano Accame. E i precedenti non mancano. Il fascistissimo scrittore francese Pierre Drieu La Rochelle, morto suicida nel ‘45, a proposito di fascismo e comunismo osservò che “non c’è nulla che assomigli di più a un nemico che il suo nemico”, fino ad ammettere che il proprio “ideale di autorità e di aristocrazia in fondo si è rifugiato in quei comunisti che ho tanto combattuto”. Victor Smirnov, vecchio dirigente bolscevico, sentenziò che “il comunismo è un fascismo estremista”, mentre  “il fascismo è un comunismo moderato”. L’animatore dell’Action Francaise Charles Marras scrisse che, in fondo, il fascismo è nient’altro che “un socialismo affrancato dalla democrazia”. E tale connubio gli piacque assai. Come piacque al poeta Robert Brasillach, giustiziato per collaborazionismo nel ‘45. Altri nomi potrebbero a ragion veduta figurare in questo bizzarro pantheon: Ezra Pound, Paul Sérrant, Saverio Vertone come scrive il collega Andrea Cangini dalle pagine di Huffington Post. Articolo che potete leggere integralmente cliccando qui 


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