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mercoledì 12 luglio 2023

Le due verita' vere del caso Santanche' e le origini del conflitto




di Ugo Maria Tassinari

Fonte Il Roma 11/07/2023

C'è un aspetto interessante e paradossale nell'audizione parlamentare del ministro Santanché che, dopo una settimana, è ancora al centro del dibattito politico. E' un caso raro che due contendenti affermino cose opposte sullo stesso fatto, dicendo entrambi il vero. E questa volta è successo. Il ministro non ha ricevuto nessun avviso di garanzia (come ha dichiarato dai banchi del governo) eppure è indagata da molti mesi (come ha scritto il Domani, realizzando uno scooppettone). 

L'introduzione dell'avviso di garanzia, al di là dell'uso distorto che se n'è fatto spesso per crocifiggere chi li riceve, è uno strumento di civiltà giuridica. L'accusa informa l'interessato che sono in corso indagini sul suo conto perché posso approntare la difesa. In questo caso, invece, i pubblici ministeri hanno deciso di avvalersi di un'opportunità assicurata all'accusa: le indagini possono essere segretate. E' legittimo ma è una palese violazione dello spirito della riforma del codice di procedura penale, varato alla fine dagli anni '80 dal ministro Vassalli sulla base del lavoro della commissione Pisapia. Due grandissimi avvocati. Con il rito accusatorio, infatti, le due parti si scontrano davanti a un giudice terzo. 

Dobbiamo essere grati ai grandi network televisivi americani che con i loro magnifici “legal drama” ci hanno insegnato come funziona il gioco delle parti. Lì se l'accusa (gestita da avvocati, non magistrati) acquisisce elementi a carico dell'indagato li deve trasferire immediatamente alla difesa, per garantire appunto la parità del confronto. Qui da noi, invece, non si è riuscito neanche ad attuare la misura più elementare: la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. 

E' in questo squilibrio perdurante in Italia l'inghippo in cui si è attorcigliato il caso Santanché. Perché dagli inizi degli anni '90, a partire dalle grandi inchieste sulla corruzione, il peso della magistratura è fortemente aumentato, finendo per acquisire per molti aspetti le dinamiche e le logiche di una vera e propria forza politica. Ogni volta, a partire dalla contestazione asperrima della riforma Biondi proposta dal primo governo Berlusconi nell'estate del 1994, i magistrati hanno saputo imporre il loro potere di veto. 

Il Partito dei giudici, si è spesso detto e scritto. Ha milioni di supporter, propri organi di stampa che funzionano da cassa di risonanza e così può intervenire con forza nel dibattito sulla definizione delle norme che per la Costituzione è affidata  al potere legislativo, che ne esce spesso paralizzato. 

Lo scontro in atto tra governo e rappresentanza istituzionale della magistratura è il portato di questa vecchia e mai risolta contraddizione. E purtroppo al premier Meloni non è servito affidarsi a due valenti e apprezzati magistrati come Nordio (uno che le inchieste di Mani pulite le ha condotte senza applicare il rito ambrosiano, la galera per ottenere le confessioni degli accusati) e Mantovano (un uomo d'ordine, cattolico integrale, che si è fatto apprezzare nel precedente incarico ministeriale al Viminale). Il conflitto continua.

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