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lunedì 25 maggio 2020

Nino Carmine Cafasso, il Decreto Rilancio: deprimente e insufficiente rispetto alla crisi



Il Decreto Rilancio è finalmente approdato in Gazzetta Ufficiale anche se i dubbi sul contenuto persistono,e con essi le polemiche. In particolare quelli riguardanti il tema degli ammortizzatori sociali, soprattutto dopo la drammatica esperienza della cassa integrazione della prima fase: sono tantissimi i lavoratori che ancora attendono l’indennità del mese di marzo.  La collega Antonella Fascetta
ne  parla con Nino Carmine Cafasso, Giuslavorista, Consulente del Lavoro e Presidente AIS, che è l’Associazione Imprese di Servizi.
“Con il Dl Rilancio - spiega il dottor Cafasso - è stato stabilito che le aziende che hanno già usufruito di 9 settimane di cassa integrazione ne hanno a disposizione soltanto 5, utilizzabili entro il 31 agosto. La cosa più grave è che i conti non tornano perché se la cassa integrazione, per chi ha iniziato ad usufruirne dal 1 marzo, è scaduta il 1 maggio, e queste 5 settimane scadranno quindi il 31 maggio. Ciò significa che giugno, luglio e agosto rimarranno scoperti, e che per le aziende che hanno ripreso l’attività il 18 maggio, improvvisamente, la pandemia, e anche la crisi economica, saranno scomparse già il 1 giugno, tutti saranno soddisfatti e contenti e si ricomincerà a vivere come si viveva 3 mesi fa! Purtroppo non è così e così non potrebbe essere”,

Dottor Cafasso, perché è stato fatto tutto questo?
È indispensabile spiegarlo tecnicamente. L’ammortizzatore sociale legato al Covid-19 è un ammortizzatore sociale speciale in ragione del quale esistono delle deroghe. Queste deroghe sono legate al pagamento di una serie di contribuzioni che sono oggi obbligatorie sull’ammortizzatore sociale, ma che nel caso della lex specialis in tema di Covid-19 erano state eliminate. Per cui al Governo hanno pensanti di fare questo ragionamento: noi concediamo altre cinque settimane, dopodiché gli imprenditori, se riterranno, utilizzeranno l’ammortizzatore sociale ordinario. Quest’ultimo, però, è un ammortizzatore sociale che, all’imprenditore, costa tra il 4 ed il 12 per cento della retribuzione persa. Su quello ordinario c’è chiaramente una condizione di svantaggio da parte dell’imprenditore, che dovrà riunire le organizzazioni sindacali, concordare con esse tutta una serie di particolarità, che peraltro risultano essere oggettive, poiché riaprendo il 18 maggio, il 31 maggio, ovvero alla scadenza delle 5 settimane, non ci si troverà certamente nelle stesse condizioni in cui si era il 31 gennaio scorso. E a quel punto si dovrà gestire una procedura ordinaria, che in un momento come quello che stiamo vivendo significa, fondamentalmente, essere obbligati ad anticiparla. A tanto non possono non aggiungersi le lungaggini burocratiche legate ad una norma che con il Covid-19 era stata derivata ed il fatto, assolutamente importante, che le aziende che semmai in passato avevano già avuto necessità e nel quinquennio, di utilizzare l'ammortizzatore sociale ordinario, potrebbero averne esaurito la carenza tanto da non poterla assolutamente utilizzare!! Il Governo, quindi, si è di fatto defilato lasciando la “patata bollente” agli imprenditori che, se vogliono utilizzare l’ammortizzatore sociale e laddove potessero stante quanto prima espresso, hanno a disposizione esclusivamente quello ordinario, e lo devono anticipare. Prendiamo atto che esiste una condizione straordinaria, dettata dalla pandemia, e non certo dal Governo, nella quale le persone non possono lavorare in regime di normalità. Di conseguenza, però, lo Stato è deputato a creare le condizioni dove l’imprenditore non debba essere costretto ad anticipare denaro, perché non in grado di anticiparlo. Dopo un decreto Liquidità che è rimasto, sostanzialmente, una carta morta, poiché quei soldi non li ha visti nessuno, e avendo poi creato una procedura tale, con un Decreto Cura Italia, per cui, a oggi, questo denaro non lo ha visto quasi nessuno, oggi non è inaccettabile aggravare ulteriormente la situazione chiedendo di anticipare denaro quando sia lo Stato, sia l’INPS, sarebbero dovuti intervenire in tempo, e non lo hanno fatto. Pensando poi di semplificare la procedura ribaltando sull’INPS tutte le responsabilità del caso che erano prima condivise anche con le Regioni. 
Attenzione, è come il cane che si morde la coda perché l’INPS, negli ultimi 20 giorni, non ha di certo assunto 10 mila lavoratori! I lavoratori dipendenti dell’INPS sono sempre gli stessi, e se questi non sono riusciti prima, lavorando insieme alle Regioni, a risolvere la situazione, di certo non lo faranno adesso, gravati dell’ulteriore carico di lavoro proveniente dalle Regioni stesse. In sostanza questo è un decreto che, almeno dal punto di vista delle procedure del lavoro e della salvaguardia delle imprese, risulta assolutamente deprimente, defraudante e sostanzialmente insufficiente per la grave crisi che si vive e soprattutto per lo spessore che le imprese italiane offrono e potrebbero offrire se salvaguardate ma anche del tutto non in linea con i principi cardine di uno stato sociale e di diritto”.

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