di Raffaele Schiavone
Il governo Meloni ha da poco superato il giro di boa dei 100 giorni di governo. Come da prassi è tempo di un piccolo ma sostanzioso bilancio e confronto con i passati governi. Ai lettori de “Il Sovranista” non sarà di certo sfuggito che in questi primi 100 giorni il governo ha mostrato delle grosse lacune, non solo dal punto di vista operativo ma anche dal punto di vista comunicativo. Sia chiaro, nulla di eccessivamente insormontabile e non migliorabile ma queste mancanze stridono con lo slogan “Pronti” usato a caratteri cubitali da FdI -che ricordiamo essere il principale azionista di governo- durante l’ultima campagna elettorale.
Ad onor di cronaca la prima donna presidente del consiglio, una volta varcata la soglia di Palazzo Chigi -sede del governo- ha trovato davanti una situazione difficile, come la manovra finanziaria da scrivere e far approvare al più presto onde evitare l’esercizio provvisorio di bilancio; ma nella realtà dei fatti la legge di bilancio ha favorito una singola classe sociale con sanatorie e scudi fiscali e con la flat tax a favore di alcune partite IVA, ovvero i titolari di partita IVA che rientrano nel regime forfettario (regime naturale in cui ricadono se ogni anno registrano ricavi o compensi fino a 65mila euro fino al 2022 e fino a 85mila euro nel 2023) parliamo quindi di classi sociali abbienti, con la promessa da parte del governo di estenderla -ci vorrebbe un miracolo perché giri e rigiri la coperta finanziaria è quella- successivamente ai dipendenti, i quali in attesa del miracolo hanno beneficiato di un contentino sul mini sconto del cuneo fiscale. In sintesi la manovra ha poco delle promesse elettorali, le risorse del caro bollette -le stesse del governo Draghi– coprono solamente i primi quattro mesi e la previsione del Pil per tutto il 2023, secondo il Fondo Monetario Internazionale, è di un deludente 0,6 %. Inoltre, in questi 100 giorni il governo sembra aver dimenticato di trovarsi in una Repubblica parlamentare, approvando di fatto ben 15 decreti legge. Un record che supera persino i 13 decreti legge del governo Draghi; tutto ciò è paradossale perché la Meloni dai banchi dell’opposizione si è sempre contraddistinta contro i governi che abusavano dei decreti legge, e su questo grido di allarme urbi et orbi a base di deriva antidemocratica, liberticida e mortificazione del ruolo del Parlamento ha costruito buona parte dell’attuale consenso. Un conto è stare all’opposizione un altro è stare al governo, con tutti gli onori e gli oneri del caso. Dopo tanta opposizione anche la Meloni sembra aver fatto i conti con la realtà , adesso gli onori e i tributi del risultato elettorale post 25 settembre sono terminati ed è tempo di portare a casa le promesse fatte. Ed è qui che iniziano gli oneri. R.S.
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